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Posts Tagged ‘varsavia’

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Aug 30

Basta davvero poco

Una delle cose di cui continuo a stupirmi vivendo a Varsavia è che, sia io che molti dei miei colleghi stranieri, facciamo dell’altro.

Esempi. Io faccio il tester di videogiochi, ancora oggi e domani, nel frattempo insegnavo italiano e mettevo su dei progettini in php per la facoltà di psicologia dell’università di Varsavia, inoltre lunedì cambio lavoro, smetto con i videogiochi e torno a fare il consulente.

Il mio collega belga anche lui è qui a testare videogiochi, ma insegna francese in una scuola di lingua, da lezioni private e ha una sua società con la quale fa una serie di consulenze linguistiche e altro. Sta pensando di mettere su qualcosa legato al VoIp in Polonia.

Il mio collega spagnolo oltre ai videogiochi ha contatti con una camera di commercio spagnola e fa consulenze per aziende spagnole che vogliono aprire una filiale in Polonia.

Non so, in Italia mi sembrava tutto così immobile. E dire che venire in Polonia non è difficile, molto meno di quello che credessi prima di decidere. Parlandone con altri amici ho scoperto che cambiare paese, cambiare vita non è impossibile, certo ci vogliono un po’ di soldi da parte, ma meno di quanto si pensi, conta molto di più la voglia di cambiare e di sfidarsi fino in fondo.

(Prossima puntata con l’esiliato in Giappone e si parla di andare in Giappone)

Aug 27

Dziki ryż

Dziki ryż

L’altroieri volevamo andare al ristorante georgiano che c’è qui a Varsavia, non è un vero e proprio ristorante, in Italia sarebbe una rosticceria con dei tavolini per sedersi, peccato che alle otto di sera chiudesse, così abbiamo ripiegato per l’asiatico qualche vetrina più in là.

Prima di proseguire un piccola nota, non è che io volessi andare al georgiano per portare solidarietà ai connazionali di Stalin (che, per chi non lo sapesse, era georgiano e non russo), ma solo perché questo fine settimana traslochiamo e, prima di andar via, volevamo provare alcuni locali della zona visto che sono vicini. A breve andremo a prendere un kebab e, forse, al ristorante all’angolo.

Il posto non era male, in stile un po’ giapponese, un po’ minimalista, con pareti rivestite di fogli di quotidiani giapponesi e qualche pagina strappata di qualche manga, lampade di carta appese un po’ in giro e qualche altro tocco che non ricordo. La cucina è indiana, thailandese e cinese, di giapponese mi è sembrato ci fossero solo le pareti, ma, visto che mi è piaciuto, magari la prossima volta controllo meglio.

Cosa abbiamo mangiato, presto detto, Ola che aveva mangiato qualcosa dopo il lavoro ha preso una cosa strana, praticamente le hanno portato una ciotola di metallo con dentro del formaggio ricoperto da una crema di spinaci, inavvicinabile per me, il nome non chiedetemelo o era thailandese o era polacco, non avrei potuto ricordarlo nemmeno scrivendomelo.

Io invece ho mangiato del maiale al caramello, che mi è piaciuto molto, la porzione che sembrava minimal, invece si è rivelata abbondante, quando il tutto sembrava troppo dolce lo si poteva stemperare con lo zenzero che era a condimento del piatto. Con l’aiuto di una ciotola di riso ho finito tutto il caramello e sinceramente ne avevo bisogno.

Il vino, sudamericano per lo più ma non solo, non è affatto male per essere in Polonia, il caffè è Vergnano, la sambuca Molinari, questo per dire che il posto non è propriamente l’ultimo dei bar mleczny e che i prezzi sono un po’ più alti di una pierogeria, con meno cento złoty (trenta euro) ve la cavate.


ul. Puławska 24B,
Warsaw,
02-515,

My rating: 4.0 stars
****

Aug 20

La discussione si fa animata

C’era da aspettarselo, non siamo nemmeno a Kutno, famosa per la sua stazione cantata da Kazik Staszewski, detto l’artista, come “così sporca e brutta che ti fanno male gli occhi”, che la birra comincia a scarseggiare. Così Hans, Fritz, Kunz, Patrik e Poropoppo si guardano negli occhi e aprono le ultime lattine, con la speranza che il treno faccia più in fretta gli ultimi chilometri, ma visto che il destino va aiutato, per accelerare la ripartenza Hans e Fritz buttano giù dal treno una coppia di fidanzatini che voleva andare in campeggio a Danzica, mentre Kunz tenta di prendere il fischietto o, alternativamente, di baciare un capostazione con dei baffi alla Federico Guglielmo che gli ricordano tanto il suo primo amore. Partito il treno da Kutno Patrick ha un accenno di colpo di sonno, apre gli occhi dopo un attimo di troppo, così da ritrovarsi quelli degli altri quattro puntati addosso, la sfortuna vuole che poco prima abbia tirato fuori il portatile per far vedere agli amici le foto di qualcosa, alla fine l’hanno usato come tavolino, malgrado ci si aggrappi con le unghie domattina lo denuncerà come l’ennesimo furto ai danni di un tedesco sulle ferrovie polacche.

Neanche il tempo di piangere l’HP che arriva Lech, sulla cinquantina portata male, cintura slacciata e mutande a righe in cinemascope per le signore sedute lato corridoio, cantando arrangiamenti tristi di canzoni per le squadre di calcio di Varsavia e ovviamente ubriaco come una botte di acquavite. Purtroppo non si capiscono, Lech è ubriaco di Vodka, loro di birra, non solo non c’è la scintilla, ma i giovanotti tedeschi si intimoriscono e tirano le tendine per coprirsi. Lech allora cerca di convincerli a prenderlo con loro avvilendo ulteriormente musica e testi del suo repertorio e continuando a spogliarsi. Monumento al dolore cosmico quando con i pantaloni alle caviglie, le mutande alle ginocchia si prende tra le mani l’appendice mormorando “bello di papà apri gli occhi, apri gli occhi.”

Questo mentre accanto passa un giovanotto improfumato di acqua di colonia scadente, camicia celeste e gilet di lanetta blu scuro, che sballottando i suoi centotrenta chilogrammi, va avanti e indietro per il treno non vedendo l’ora di arrivare a Varsavia, finalmente, per incontrare uno di quei ragazzetti ucraini o rumeni che per pochi euro escono dalle grazie del Signore, cattolico o ortodosso che sia.

Andati via gli ultimi arrivati i tedeschi riprendono coraggio, prima qualche urlo sguaiato, poi prendono Patrick e lo usano come ariete contro il vetro, prima, come tappetino, dopo, infine cominciano a cantare pur non potendo più andare a ritmo ed articolare suoni più complessi di una lallazione ebete.

Ad un certo punto la tipa nel mio scompartimento, che appena partiti ha importunato una coppia di giovani svedesi in viaggio per vedere le meraviglie della vecchia Europa raccontandogli la sua vita di madre single con un “friend, boyfriend” a Berlino anche lui con figli, che si vedono ogni quattro settimane un weekend, che lei fa la costumista, che viaggia, che fa, che Varsavia così e Cracovia così, che non ho capito che cosa facessero i due svedesi, a parte lei con i rasta biondo sporco era forse fotografa, ma già segnata da un’esperienza in una spiaggia per lesbiche dove, unica nana sovrappeso, aveva maturato la convinzione che se doveva fare del male a qualcuno concedendo le sue grazie l’avrebbe fatto con degli uomini, perché il cazzo continuava ad esercitare un fascino particolare, soprattutto quando ne aveva tra le mani uno ormai inutile e la bocca piena che tratteneva un colpo di tosse prima di buttare giù la soddisfazione della sua vittoria, lui era di quelli che provano con le battute ad essere simpatici, ma non lo sono, nè hanno bastante cattivo gusto da risultare sgradevoli, capello giallo, occhio azzurro e cappellino di paglia, sarebbe finito per essere uno di quegli svedesi alti, bianchi e rigidi che vivono novant’anni nelle statistiche della UE e poi muoiono in qualche modo pulito.

Gli svedesi sono scesi da tempo e la tipa prende ad attaccarci con domande a cui non vuole risposta (che numero hai di scarpe?) e rispondendo a questioni postele dall’uomo invisibile, capendo che non le stiamo dando spago e sentendosi per questo a disagio si alza, sistema le sue cose nella borsa e nella valigia e dopo averci chiesto di guardargliele esce nel corridoio, si solleva la gonna sui fianchi e dopo essersi guardata intorno si abbassa rapidamente le mutande, poi con passo deciso apre la porta dello scompartimento dei tedeschi e con un inglese febbricitante annuncia “prendetemi e fatelo.”

Per qualche minuto si sentono solo dei suoni sordi e privi di umanità, intervallati da urla gutturali e qualche frase bisbigliata in tedesco che forse è la cosa peggiore. Hans ad un certo punto urla qualcosa che significa che il controllore sta arrivando, rumori confusi, voci in polacco, tedesco, inglese e russo, poi la tipa si ripresenta al nostro scompartimento,ha un occhio livido e semichiuso, il labbro superiore gonfio, la camicetta aveva perso alcuni bottoni e una manica è strappata, quando apre la porta una puzza di piscio la precede, la gonna bagnata le aderisce sulle cosce mentre si siede in silenzio, guardando fisso davanti a sé con l’occhio aperto che sembra star vivendo qualche esperienza mistica e un sorriso compiaciuto.

Intanto i controllori sono dai tedeschi che di fronte alle autorità reagiscono estraendo i biglietti e, malgrado l’alcol, cercando di avere un comportamento decoroso, fino a quando uno dei controllori non dice qualcosa in polacco che i tedeschi non devono capire bene, poiché attaccano a cantare qualcosa di temibile come un punk-rock anni ottanta tirolese. I polacchi gli chiedono di smettere per carità cristiana della Madonna nera di Częstochowa, i tedeschi alzano ancora di più la voce ed è allora impossibile capire quando i controllori chiamano i rinforzi, la discussione si fa animata e dopo poco sentiamo chiaramente uno dei tedeschi chiedere pietà, poi qualcosa di grosso passa velocemente davanti al nostro finestrino e si perde nella notte. Però a quel punto la puzza nel nostro scompartimento è tale che prendiamo le nostre cose e usciamo in corridoio, fianco a noi appaiono quattro controllori che si fregano le mani soddisfatti e si raccontano e si complimentano tra loro, e uno sta proprio dicendo ad un altro “e siamo arrivati proprio quando quello grosso stava cacando in faccia a quella” mentre noi chiudiamo la porta del nostro scompartimento e vediamo che la tipa, che ha sentito tutto, ha ora un ghigno di trionfo sulle labbra.

Aug 19

Battesimo ucraino

A fine giugno ho provato ad andare in Ucraina. Prima di venire in Polonia avevo anche fatto il passaporto, per la prima volta in vita mia, sapete sono un figlio di Schengen, poi mi ero comprato il vestito buono per il matrimonio del fratello di Ola e infine ero andato a prendere i biglietti per l’autobus da Varsavia a Leopoli. Ovviamente il giorno della partenza Ola finisce in ospedale perché si è addormentata sotto la doccia.

Quello che mi rimane di questa bella esperienza è il vestito e le scarpe per andare al matrimonio e la ricevuta sgualcita dei biglietti dell’autobus. Dai racconti di chi c’era ho capito che non mi sono perso molto, per il cibo sono ovviamente meglio i matrimoni italiani, per il vino anche e non avendo la lacrima facile per i matrimoni dei cognati non ho perso nessun momento commovente. Lo sapevate che nei matrimoni greco cattolici i testimoni tengono delle corone d’oro sollevate sulle teste degli sposi?

Comunque se volete vedere Varsavia com’era durante il comunismo potete andare alla stazione degli autobus per l’Ucraina, c’è il mercato dei vietnamiti o qualcosa del genere, andateci in macchina, scendete, guardate per dieci minuti e risalite in macchina, avrete visto tutto quello che c’è da vedere e non avrete perso nulla.

Ma cosa c’è da vedere? be’ un piazzale spoglio, se ha piovuto anche delle belle pozzanghere, il mercatino l’ho sempre visto chiuso, con dei catenacci dissuasori, ma è soprattutto la paura di prendere delle malattie che dissuade. E’ possibile vedere arrivare un po’ di varia umanità, purtroppo per andare in alcuni posti da Varsavia l’autobus o la macchina sono la scelta più veloce, quindi è possibile vedere il muratore ucraino come la signora che torna dalla casa in montagna, i ragazzi che tornano dal campeggio e la badante moldava.

Sempre all’esterno ci sono i fantomatici “Taki”, “Sawa” o altre cose, sono dei finti taxi che fanno pagare cifre da capogiro a chi non fa attenzione. Solo per salire prendono 20 złoty, poi altri 20-30 al km, per capirci i prezzi ufficiali della città di Varsavia per i taxi non possono superare i 3 złoty al km, ma la media è intorno ai 2. Non è illegale avere un finto taxi, ma non possono chiamarsi taxi, se venite a Varsavia stateci attenti.

Dentro lo spettacolo, in particolare con l’amena cassiera in ciabatte, o se erano scarpe non me ne sono accorto, con dei capelli di diverse sfumature con mesh fucsia o qualcosa di simile, una specie di derviscio saccente che illuminava l’aria ad un palmo dal suo corpo. A capo chino le abbiamo aperto il nostro cuore e le abbiamo confessato la destinazione del nostro viaggio, ci ha fatto un cenno di assenso, ci siamo inginocchiati e ci siamo offerti a lei, alla sua saggezza, alla sua compassione. Ma ci ha detto di tornare il giorno dopo che lì i bancomat e le carte di credito non sanno nemmeno cosa sono.

Il giorno dopo, più mesti, ci siamo avvicinati esitanti, lei ci ha guardato e non ci ha riconosciuti, poi con il suo ritmico gesticolare mi ha dato un nome nuovo, il mio battesimo ucraino.

Aug 18

Ciccione di

Qualche giorno fa, sull’autobus, sale questo tipo enorme, io ero in piedi, poco distante, così me lo sono guardato per benino: aveva due avambracci grandi come gli estintori dell’autobus, i capelli molto corti, il collo soffocato dal grasso era invisibile, la fronte sudata anche se la giornata non era delle più calde.

Quello che mi ha colpito di più, però, è stato il modo in cui era vestito, o meglio la sua camicia enorme come lui ed orribile, fatta con la stoffa più brutta mai vista in circolazione, rubata a qualche tappezziere che si vergognava troppo di usarla anche per i suoi clienti ciechi: orchidee gialline e viola su sfondo nero, una specie di camiciona hawaiana a lutto.

Se a guardarla faceva schifo, ad indossarla bisognava davvero stare male. Sotto l’orrore aveva dei jeans che dalle cuciture dovevano essere dei Levi’s, anche perché le marche polacche non fanno misure così grandi e visto che qualche settimana prima, cercando dei pantaloni, avevo girato metà dei centri commerciali di Varsavia (che poi spiegatemi come fa ad esserci qualcuno che porta che porta dei jeans 30 di larghezza e 34 di lunghezza, cos’è 1 e 90 per cinquanta chili?) mi stavo immedesimando in questo povero Cristo, nella sua sofferenza nel tentativo di dimagrire, nei suoi occhi vedevo la tristezza di essere intrappolato in un corpo che non si vuole, imprigionato in una taglia che non esiste, sentendosi umiliato ogni volta che si vede qualcosa nella vetrina di un negozio, costretto poi a dover scegliere tra quello che si trova tra gli scarti di un magazzino per taglie forti, affidandosi, senza garanzia, a cataloghi di vendita per corrispondenza o rischiando l’acquisto su internet per un modello che online sembra, forse, essere più bello, più comodo, più normale di quello che si può sperare di trovare nella propria città, sentivo tutti gli sforzi fatti per rinunciare ai dolci per mangiare solo cibo scondito, verdure alla griglia o grandi insalate, senza pane o, come usano qui, patate, l’odio verso ogni forma di sport, che diventa sollievo quando la bilancia comincia a dare ragione alla corsa solitaria e ridicola fatta nel parco vicino casa, di poco, una frazione di linea, forse mezzo chilo, ma è pur sempre un inizio.

Pensavo questo quando, alla fermata successiva a quella dov’è salito, lo vedo avvicinarsi alla porta, nella mano che prima non vedevo, coperto dalla protezione per fermare passeggini e sedie a rotelle, ha una bottiglia da un litro di Sprite, appena sceso la apre e la beve. La Sprite? con zucchero e bollicine? allora sei proprio un ciccione di merda.

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