Io Giuda
Ho fatto un altro sogno, come li faccio io, quando sogno la mia vita futura o come sarebbe potuta essere, quando sogno me stesso e mi vedo fare cose che farei davvero se la mia vita fosse ad un punto diverso.
Sto entranando con degli amici in un locale, abbiamo tutti 4 o 5 anni più di quanti ne abbiamo ora, rughe no, ma intorno agli occhi qualcosa c’è e poi della stanchezza diffusa, il locale è scuro sul marrone a metà tra un locale messicano e un pub, con le pareti arancione spento, qualche tavolo di legno scuro e un paio di tavolini circolari messi intorno ad alcune colonne che sono nella sala, vicino ai tavolini degli alti sgabelli di metallo con la seduta tonda in similpelle verde o rosa.
Ci sediamo e stiamo bevendo birra, chiacchieriamo per un po’ e lo so perchè sento che non sono più lucido e sto diventando più stronzo.
Dall’alta parte della sala c’è un tavolo di ragazzini, devono avere 14 o 15 anni: sono vestiti a metà tra il punk e il tamarro, capello sparato e braccialetti di gomma, jeans strappato in maniera scientifica e occhiali da sole scuri anche se sono dentro. Sono messi male, e non è solo per l’alcol.
Tra i ragazzi c’è mia figlia, io lo so e lei lo sa, lo sanno anche i miei amici e forse i suoi, è una situazione strana, una sensazione che non mi piace, vorrei che mi salutasse e allo stesso tempo vorrei evitarlo perchè è una testa di cazzo e io non me ne sono mai occupato. Non voglio fare la figura del padre rompicoglioni davanti ai suoi amici, ci metterebbe un attimo a dirmi tre parole e disintegrarmi per fare la figa con loro. Non voglio nemmeno fare storie davanti ai miei amici.
Le nostre sono due vite di merda e di sua madre non ne voglio parlare. Per me oltre che sono in questo posto che puzza di fumo e di sudore, posso dire poco ma a trenta, trentacinque anni non ho un lavoro stabile, non ho una carriera, ho una casa che stenta a rimanere tale, bevo ogni tanto, ma troppo poco per stare bene e non sentirmi scorrere addosso la mia vita.
Lei non lo so, la vedo poche volte in giro, non vado a trovarla, so che ha i suoi giri, che fuma, che si fa di eroina. E non posso dirle nulla, perchè sono suo padre quasi per sbaglio e perchè avrei bisogno che qualcuno insegnasse a me per primo come si sta al mondo. Sento che ora ha bisogno di soldi o di una dose, che è lo stesso.
Va in bagno e poco dopo mi alzo anche io. In bagno parliamo. E’ come lo spigolo di un piano di metallo, freddo, affilato e lucente.
Quando io e i miei amici usciamo dal locale, passo al suo tavolo, lei si alza, mi saluta e mi bacia sulla guancia, e mentre lo fa, di nascosto, le do i trenta euro.